Il titolare di un bancomat, avendo subito il furto della carta ed il conseguente prelievo indebito di somme, ha chiesto alla banca la restituzione delle dette somme prelevate da ignoti dopo il furto della carta.
La banca ha negato il rimborso, sostenendo che l’utilizzatore del bancomat aveva violato l’obbligo di diligente custodia dello stesso e delle credenziali.
Ed infatti, il decorso di un breve spazio di tempo tra il furto di un bancomat e l’operazione di prelievo o di pagamento non autorizzata fa supporre, con notevole grado di probabilità, che il codice segreto fosse custodito insieme alla carta, fondando la presunzione di sussistenza di colpa grave del titolare e la violazione da parte sua degli obblighi di conservazione e sicurezza, relativamente alle disposizioni di legge e di contratto.
Tale principio è stato ribadito dall’Arbitro bancario finanziario di Torino che, con un provvedimento del 25 ottobre 2019, ha respinto il ricorso del protagonista della vicenda sopra narrata.
Tuttavia, è bene precisare che, come stabilito dalla Corte di Cassazione con una recentissima sentenza, nel caso di prelievi a mezzo bancomat non riconosciuti dal correntista, grava sulla banca l’onere di dimostrarne l’imputabilità al cliente per colpa grave. In caso contrario il risparmiatore va ristorato.
Secondo la Cassazione “la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente”. “Questa regola – prosegue la decisione -, dettata per i casi anteriori, è stata confermata dal Dlgs n. 11 del 2010, secondo cui l’onere di dimostrare che l’operazione, posta in essere illecitamente dal terzo, è stata comunque effettuata correttamente e che non v’è stata anomalia che abbia consentito la fraudolenta operazione, grava, per l’appunto sulla banca”.
In sostanza, precisa la Cassazione, “da un lato, grava sulla banca l’onere di diligenza di impedire prelievi abusivi, per altro verso grava sempre sulla banca l’onere di dimostrare che il prelievo non è opera di terzi, ma è riconducibile comunque alla volontà del cliente”. Mentre, quest’ultimo subisce le conseguenze della perdita solo se “per colpa grave, ha dato adito o ha aggravato il prelievo illegittimo”.

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